Corre la metro e un pedicelloso mi fissa in trance,
mentre smanetta tarantolato sugli smartphone,
con la sua scimmia sulla spalla.
All’angolo di una via del centro l’uomo dalla testa di serpente
violenta una bambina tra l’indifferenza di ombre
che avanzano fissando la punta delle scarpe,
mentre apocalittiche scritte sui muri urlano indelebili paure.
Più avanti due animali calano le braghe
e cagano beffardi davanti a un bar,
dove una cameriera recita sillabando il menù a un eschimese.
Sul marciapiede uno sceicco gioca a morra
col cinese di una lavasecco che si è appena quotato in Borsa,
mentre nell’ospedale fuori porta muore dimenticato l’ultimo degli operai.
Poco distante un alienato fa a pezzi la famiglia e grida “libertà”,
mentre un terrorista folgorato sulla via di Damasco molla il kalashnikov e prende
la via di Compostela.
Sdraiarti sulle biancastre guglie diavoli con sembianze di angeli, cristi e madonne
fanno testa o croce per l’ultima anima in cerca di paradiso.
Corre il destino alla velocità della ragnatela digitale.
La campana ha smesso di suonare e l’orologio fatica a stargli dietro.
Il mega schermo della grande piazza mostra h24 luridi ai confini dell’umano
che schizzano saliva mentre si scannano in estenuanti ring-show
senza esclusione di colpi.
Infoiate baldracche della politica che urlano con occhi di fuoco
e schiumano livore come possedute dal demonio.
Schiere di prezzolati sacerdoti del capitale e servili pennaioli
che fanno scempio di decenza e dignità senza tradire la minima vergogna.
Mentre, in disparte, l’annoiato anchorman biascica un chewing gum
e mima col pugno chiuso una masturbazione.
Corre il destino del mondo senza perché,
e nelle loro tane frotte di coatti consumano inutili esistenze
in album dei ricordi, nell’attesa spasmodica di un like.
Solitari naviganti sfidano i flutti e scambiano criptomonete per pochi
istanti di criptopiacere; altri rincorrono infolarmati scampoli di sapere fra le incerte
pagine dell’enciclopedia globale; o fanno naufragio nell'arido mega centro commerciale del
pianeta.
Ovunque masse obese dal benessere si fanno di paranoia nelle loro latrine,
mentre in testa cortocircuitano le ultime sinapsi.
Nel frattempo famelici mercati come divinità pagane reclamano le loro vittime.
Nella fatiscente Europa pletore di allineati babbei
si baloccano con le nostre vite ormai senza passione.
Nella stanza ovale un potente sotterra il grande sogno.
A est si inaugura l’autostrada dell’impero che verrà.
Corre il destino del mondo senza dove
in culo a ogni illuministica ragione e sentimento,
e rende i cieli dello stesso grigio da Oodaaq al Polo Sud.
La poesia non ha più ali,
la musica ripete stanca monotoni refrain.
E io leggo nei tuoi occhi spenti e inconsapevoli
che è finito il tempo dell’indignazione.
Leggo nelle facce della gente come me
che non c’è più speranza nella speranza.
E vorrei una volta ancora tuffarmi giù nella profondità del mare,
superare i confini delle emozioni,
e disperdere ogni mia cellula nell’universo in questa notte di diamanti.
Ma vedo Pynchon a cavallo dell’arcobaleno che sghignazza come il gatto di Alice,
mentre comincia l’ultimo count down.
All rights belong to its author. It was published on e-Stories.org by demand of Gabriele Zarotti.
Published on e-Stories.org on 10/21/2018.
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