Massimo Vaj

Il ragno

Quattro occhietti lucidi e senza palpebre si facevano spazio tra peli fitti, grigi e appuntiti, in una testolina grande la metà dell’addome, tondo e grassoccio, che le stava dietro. Come riesca, quell'esserino pelosetto, a trasformare la carne della sue prede in fili elastici, collosi e robustissimi, non è dato sapere, e deve essere un segreto che tutti i ragni sanno ben custodire se l’uomo ancora non lo conosce. Un segreto che gli consente di non appiccicarsi alla stessa tela che gli procura il nutrimento.
La sagacità di questo insetto dovrebbe consentire, alla specie umana, di mettere in forse la propria celebrata intelligenza, dal momento che la trappola che l’uomo ha imparato a costruirsi, per sopravvivere, gli si è incollata addosso imprigionandolo senza scampo.
L’uomo si compiace della sua tela, tanto che la chiama “progresso”, e per lui poco conta che ci stia soffocando dentro.
Il ragno di questa storia è di quelli comuni, tondo, grigio e con una croce sulla schiena.
È da un mese che osservo quello che combina, più o meno da quando è comparso fuori dalla mia casa, e lui cura quello che faccio io. Dal suo sguardo sembrerebbe deluso. Come dargli torto, al suo confronto io sembro un bipede approssimativo. Lo squadrarmi pietoso mostra la sua convinzione che sia il numero di zampe e di occhi a indicare le qualità intellettuali di un essere.
Ma la tragedia che vive la mia specie, o forse solo io, non sta soltanto nelle quattro zampe che abbiamo, neppure sufficienti per fughe dignitose. Rispetto a lui io sono più grosso e pesante, ma s’intuisce subito che lui è certo che la grossezza e il peso non sono aspetti correlati alla qualità. Gli uomini, invece, ne sono convinti, al punto da credere di essere più intelligenti delle donne per i dieci grammi che hanno di cervello in più, senza sospettare che possano essere lì per aggravare ulteriormente le loro responsabilità nel non sapere che farsene.
Il ragno, d'altra parte, ha cose più importanti da fare: costruire una tela resistente agli incazzi della natura non è una sciocchezza, senza contare l’impegno di tendere i cavi principali della sua struttura, per i molti metri che separano i due muri del mio cortile.
Lo ha fatto di notte, sono sicuro per non rivelarmi il trucco, e al mattino l’ho intravisto guardare con sufficienza il mio stupore.
Appena arrivato nei pressi della mia casa la tela voleva tenderla tra le felci sotto alla cassetta della posta, un lavoretto da nulla per un ingegno come il suo, ma io da lì dovevo passare spesso, così l’ha spostata in un posto più sicuro, accanto alla mia moto, ma senza coinvolgerla. Ancora non so se attraversi il mio cortile via terra o correndo per il perimetro dei muri, con in bocca il bandolo della sua matassa, masticando e filando in un continuum di spessore uniforme, per evitare che il filo si arricci.
Da parte mia bestemmio al minimo accenno di garbuglio, maledicendo di essermi tagliato le unghie.
Ho notato che il ragno sistema la tela tutti i giorni, ma quando sospetta che venga a piovere si ferma, e riprende il lavoro quando rispunta il sole, andando avanti e indietro continuamente sui fili dell’ordito per irrobustirli ispessendoli, ma senza esagerare, per non togliere loro la necessaria elasticità.
Il nostro ragno ha piccolissimi denti, inadatti a mordere, eppure tutti gli uomini hanno paura del suo morso.
Ma una cosa, a nostra difesa, c’è, perché noi maschi ci accoppiamo con le femmine senza che queste ci divorino subito dopo, e questo è un fatto che non ce lo può togliere nessuno, e adesso che me ne sono ricordato esco, lo guardo fisso negli occhi, quel ragnetto insignificante, e lo derido, ecchecavolo! In fondo se l’è cercata.
Lui sta lì, senza valutare il pericolo della mia stazza, così mi avvicino imponente e lo fisso, sostenendo il suo sguardo curioso, e compongo nella mia mente, per ritrasmettergliela, l’immagine di me che, dopo l’accoppiamento, mi accendo una sigaretta, anche se non fumo, invece di finire accoppato come accade a lui con la sua compagna più grossa di lui, e proprio mentre capisco che sta ricevendo l'immagine dal fatto che fatica a reggere il mio sguardo… la voce prepotente di mia moglie frantuma un successo che era ormai quasi totale:— Allora, stronzo, hai finito o no di lavare i piatti?—... 

All rights belong to its author. It was published on e-Stories.org by demand of Massimo Vaj.
Published on e-Stories.org on 06/08/2011.

 
 

Comments of our readers (0)


Your opinion:

Our authors and e-Stories.org would like to hear your opinion! But you should comment the Poem/Story and not insult our authors personally!

Please choose

Previous title Next title

More from this category "Everyday Life" (Short Stories in italian)

Other works from Massimo Vaj

Did you like it?
Please have a look at:


Sfida all'ultimo attimo - Massimo Vaj (Sorrow)
A Long, Dry Season - William Vaudrain (Life)